REFERENDUM TRIVELLE – DIFENDI IL TUO MARE! IL 17 APRILE 2016 VOTA “Sì”!
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REFERENDUM TRIVELLE – DIFENDI IL TUO MARE! IL 17 APRILE 2016 VOTA “Sì”!
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REFERENDUM TRIVELLE – DIFENDI IL TUO MARE!
IL 17 APRILE 2016 VOTA “Sì”!
Si tratta di un referendum abrogativo, ovvero uno strumento che consente ai cittadini di cancellare una legge statale. Il governo Renzi ha cercato in tutti i modi di boicottarlo, negando il suo accorpamento con il voto delle Amministrative, causando un esborso supplementare di oltre 360 milioni di euro.
Cosa si chiede con il referendum?
Si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.
Se vincesse il “Sì” cosa accadrebbe?
Votando “Sì” le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni. Prima che il Parlamento introducesse la nuova norma che il referendum chiede di cancellare, le concessioni avevano una durata di 30 anni (più 20, al massimo, di proroga).
La vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: le trivellazioni in essere continuerebbero fino a scadenza naturale della concessione, così come accadeva in passato.
Qual è la vera ricchezza del nostro paese, che dobbiamo tutelare votando “Sì”?
Votando “Sì” al referendum intendiamo tutelare i mari italiani, in quanto la ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare; in particolare, la tecnica dell’airgun, utilizzata per la ricerca di gas e petrolio, incide sulla fauna marina che, a causa delle forti emissioni acustiche, può subire gravi livelli di stress e un indebolimento del sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore (attività di prospezione sismica e esplosioni provocate dall’airgun) costituiscono un rischio anche per la pesca, provocando danni diretti a diversi organismi marini (cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei).
Inoltre, essendo quelli italiani dei mari “chiusi”, anche il più piccolo incidente durante l’estrazione o il trasporto di petrolio, potrebbe causare danni incalcolabili con effetti disastrosi sull’ambiente e con gravissime ripercussioni sull’economia turistica e della pesca. Si rammenta, difatti, che turismo e pesca sono fra le ricchezze più importanti del nostro paese:
- turismo: 10% del PIL nazionale; dà lavoro a 3 milioni di persone;
- pesca: lungo 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine; 2,5% del PIL nazionale; dà lavoro a 350.000 persone.
Perché non è opportuno incrementare l’estrazione di gas e petrolio nei nostri mari?
Con le concessioni, lo Stato dà la possibilità a società private, per lo più straniere, di sfruttare i giacimenti esistenti; in questo modo, le società divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credono: portarlo via o rivendercelo.
Le società sono tenute a versare allo Stato solo il 7% del valore della quantità di petrolio estratto o il 10% del valore della quantità di gas estratto. Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty; nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
Inoltre, anche sfruttando tutto il possibile, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti: considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.
Perché la norma che il referendum vuole cancellare è palesemente illegittima?
Il referendum chiede di abolire una norma statale che, prevedendo una durata a tempo indeterminato delle concessioni, viola le regole sulla libera concorrenza.
Difatti, la norma statale si pone in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, precisamente con la direttiva UE 94/22/CE, recepita dall’Italia con d.lgs 25 novembre 1996, n. 625, la quale prevede che “la durata dell’autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa”, salvo proroghe del tutto eccezionali e, quindi, non generali e non a tempo indeterminato.
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REFERENDUM TRIVELLE – DIFENDI IL TUO MARE!
IL 17 APRILE 2016 VOTA “Sì”!
Si tratta di un referendum abrogativo, ovvero uno strumento che consente ai cittadini di cancellare una legge statale. Il governo Renzi ha cercato in tutti i modi di boicottarlo, negando il suo accorpamento con il voto delle Amministrative, causando un esborso supplementare di oltre 360 milioni di euro.
Cosa si chiede con il referendum?
Si chiede di cancellare la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro 12 miglia marine dalle coste italiane senza limiti di tempo.
Se vincesse il “Sì” cosa accadrebbe?
Votando “Sì” le attività petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni. Prima che il Parlamento introducesse la nuova norma che il referendum chiede di cancellare, le concessioni avevano una durata di 30 anni (più 20, al massimo, di proroga).
La vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: le trivellazioni in essere continuerebbero fino a scadenza naturale della concessione, così come accadeva in passato.
Qual è la vera ricchezza del nostro paese, che dobbiamo tutelare votando “Sì”?
Votando “Sì” al referendum intendiamo tutelare i mari italiani, in quanto la ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare; in particolare, la tecnica dell’airgun, utilizzata per la ricerca di gas e petrolio, incide sulla fauna marina che, a causa delle forti emissioni acustiche, può subire gravi livelli di stress e un indebolimento del sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore (attività di prospezione sismica e esplosioni provocate dall’airgun) costituiscono un rischio anche per la pesca, provocando danni diretti a diversi organismi marini (cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei).
Inoltre, essendo quelli italiani dei mari “chiusi”, anche il più piccolo incidente durante l’estrazione o il trasporto di petrolio, potrebbe causare danni incalcolabili con effetti disastrosi sull’ambiente e con gravissime ripercussioni sull’economia turistica e della pesca. Si rammenta, difatti, che turismo e pesca sono fra le ricchezze più importanti del nostro paese:
- turismo: 10% del PIL nazionale; dà lavoro a 3 milioni di persone;
- pesca: lungo 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine; 2,5% del PIL nazionale; dà lavoro a 350.000 persone.
Perché non è opportuno incrementare l’estrazione di gas e petrolio nei nostri mari?
Con le concessioni, lo Stato dà la possibilità a società private, per lo più straniere, di sfruttare i giacimenti esistenti; in questo modo, le società divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come meglio credono: portarlo via o rivendercelo.
Le società sono tenute a versare allo Stato solo il 7% del valore della quantità di petrolio estratto o il 10% del valore della quantità di gas estratto. Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty; nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
Inoltre, anche sfruttando tutto il possibile, le risorse rinvenute sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti: considerando tutto il petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.
Perché la norma che il referendum vuole cancellare è palesemente illegittima?
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Difatti, la norma statale si pone in contrasto con il diritto dell’Unione Europea, precisamente con la direttiva UE 94/22/CE, recepita dall’Italia con d.lgs 25 novembre 1996, n. 625, la quale prevede che “la durata dell’autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa”, salvo proroghe del tutto eccezionali e, quindi, non generali e non a tempo indeterminato.
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