Il crepuscolo dei diritti sociali
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Il crepuscolo dei diritti sociali
Dall'Amica L. riceviamo questo interessante articolo.
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Il crepuscolo dei diritti sociali
Il forte incremento elettorale in tutta Europa di nuovi partiti politici “antisistema” stimola, in occasione del I Maggio, alcune riflessioni su una sinistra che non difende più gli interessi generali dei cittadini
La prepotente e ormai strutturale avanzata in tutta Europa di nuovi soggetti politici, difficili da inquadrare e liquidare semplicemente come “forze antisistema”, e tanto meno con le sbrigative quanto stantie etichette di “estrema destra populista, nazionalista, xenofoba, anti immigrazione” o, addirittura, “neofascista” (il Movimento 5 stelle non è certo niente di tutto questo), induce a qualche riflessione in tema di diritti dei cittadini europei, alcuni dei quali in costante arretramento. La ricorrenza del I Maggio costituisce una buona occasione per farlo.
Nel XIX secolo i primi decenni dell’iniziativa politica della sinistra storica, proletaria e operaia, sono stati caratterizzati dalla richiesta e dalla lotta per i diritti sociali (lavoro, salari, sicurezza, previdenza, pensioni ecc.), subito accompagnate da quelle per i diritti politici (elezioni a suffragio universale, voto alle donne, sistema proporzionale). Nel corso del XX secolo, soprattutto con la nascita del Welfare State e della cosiddetta “società opulenta”, i diritti sociali si sono estesi a casa, salute e sanità, scuola e istruzione, e ad altre forme di sicurezza sociale. Diritti che coinvolgevano (e coinvolgono) tutti i cittadini, e dei quali potevano (e possono) curarsi poco solo i rari “privilegiati”.
Altri diritti, in parte sociali, in parte civili, come il divorzio e l’aborto, che non interessavano necessariamente tutta la popolazione, ma potevano, in determinate circostanze, includere un ampio numero di cittadini, si sono concretizzati nella seconda metà del XX secolo. Vi potremmo aggiungere il diritto, per i disabili, a poter condurre una vita dignitosa o, per i condannati alla reclusione, a un carcere dignitoso e in grado di riabilitare. E, ancora, tra quelli più nuovi, ma di interesse dell’intera cittadinanza, il diritto all’informazione e all’ambiente.
Oggi, nel XXI secolo, assistiamo a una strana situazione. I diritti sociali “classici”, cavalli di battaglia della sinistra storica, stanno regredendo sempre più. Imperversano sfruttamento selvaggio, precarietà e abolizione di varie tutele, tra cui l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ovvero la legge 20 maggio 1970, n. 300, della quale sono stati “padri” i socialisti Giacomo Brodolini e Gino Giugni; quest’ultimo primo simbolo dello Stato di diritto gambizzato (1983) dalle Brigate rosse. E, se alle urne si reca meno della metà degli elettori, non sono in caduta libera anche i diritti politici (vedi Il tramonto della democrazia)? Invece, vi è un’avanzata di “nuovi” diritti. Alcuni “generali”; pensiamo al testamento biologico e all’eutanasia: quasi tutti ci ammaleremo, tutti moriremo. Altri sempre più parcellizzati, “settoriali” e individualistici, “diffusi”, “a macchia di leopardo”, riguardanti una minoranza della società: coppie gay o di fatto, unioni civili, stepchild adoption. Questi diritti rappresentano una questione di laicità e pragmatismo, principi che dovrebbero essere la stella polare di una moderna sinistra riformista.
Il problema si pone quando i diritti di qualcuno invadono quelli degli altri, secondo il vecchio, sano, classico adagio “la mia libertà e i miei diritti finiscono dove cominciano quelli altrui”. Un esempio può essere quello della “maternità surrogata” o “utero in affitto”. Esiste un diritto ad “avere” un figlio? Dove inizia questo presunto diritto e dove quello dei bambini o delle madri naturali (vedi Genitori legittimi o a ogni costo?)? Dove sono finiti decenni di lotte e ideologie femministe, con gli slogan più o meno del tipo “il corpo appartiene solo alle donne”? E non v’è il forte rischio di uno sfruttamento sociale globale?
Un altro esempio. Nessuno discute il primo dei diritti riconosciuti nel Settecento: la libertà religiosa. Ma come si può, in nome di una malintesa tolleranza e apertura religiosa, etnica o culturale, consentire zone franche nelle quali i principi costituzionali e le leggi delle nazioni liberaldemocratiche occidentali non sono rispettati? Melting pot, salad bowl, o nessuno dei due? «Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti. […] La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi». Questo è quanto affermava Karl Popper ne La società aperta e i suoi nemici. Purtroppo, come ha scritto Michel Onfray in Pensare l’islam, il buonismo, il politically correct e «l’odio nei confronti del capitalismo» ha condotto certa sinistra a essere cieca («la sinistra filoislamica si trasforma in liberticida difendendo tutto quello contro cui la sinistra storica ha combattuto»); «ormai, in Francia, è impossibile praticare l’esercizio della ragione senza dover assistere ai diluvi di insulti che accolgono chi vi si cimenta» (vedi Francia e mondo musulmano secondo Michel Onfray).
Il “tema sicurezza”. Non è anche un problema di diritti civili e tutela dei più deboli? Sono le classi povere a lottare con altri disagiati, se non disperati, per un lavoro precario e sottopagato, per un alloggio popolare assegnato dal comune o per un posto in un asilo nido. Sono i poveracci che maggiormente si trovano a scontrarsi con delinquenti presenti certo nei rioni popolari e non in ville, palazzi e quartieri “bene” saldamente blindati!
Insomma, la sinistra ha perso la propria storica stella polare di difesa dei ceti popolari per trasformarsi spesso in una sinistra radical chic lontanissima dalle masse dei bisognosi e dei diseredati (che, infatti, non la votano più). Per di più, omologata al “nuovo che avanza”: al pensiero unico globale/globalizzato, al conformismo, all’omologazione di individui e culture, al neocapitalismo finanziario e selvaggiamente liberista. Alla faccia della solidarietà, del libero pensiero e del pensiero libero! Invece andrebbero recuperate le primigenie radici socialiste, le storiche battaglie per i diritti dei lavoratori e dei ceti svantaggiati, per la libertà, per la dignità umana…
Rino Tripodi
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Il crepuscolo dei diritti sociali
Il forte incremento elettorale in tutta Europa di nuovi partiti politici “antisistema” stimola, in occasione del I Maggio, alcune riflessioni su una sinistra che non difende più gli interessi generali dei cittadini
La prepotente e ormai strutturale avanzata in tutta Europa di nuovi soggetti politici, difficili da inquadrare e liquidare semplicemente come “forze antisistema”, e tanto meno con le sbrigative quanto stantie etichette di “estrema destra populista, nazionalista, xenofoba, anti immigrazione” o, addirittura, “neofascista” (il Movimento 5 stelle non è certo niente di tutto questo), induce a qualche riflessione in tema di diritti dei cittadini europei, alcuni dei quali in costante arretramento. La ricorrenza del I Maggio costituisce una buona occasione per farlo.
Nel XIX secolo i primi decenni dell’iniziativa politica della sinistra storica, proletaria e operaia, sono stati caratterizzati dalla richiesta e dalla lotta per i diritti sociali (lavoro, salari, sicurezza, previdenza, pensioni ecc.), subito accompagnate da quelle per i diritti politici (elezioni a suffragio universale, voto alle donne, sistema proporzionale). Nel corso del XX secolo, soprattutto con la nascita del Welfare State e della cosiddetta “società opulenta”, i diritti sociali si sono estesi a casa, salute e sanità, scuola e istruzione, e ad altre forme di sicurezza sociale. Diritti che coinvolgevano (e coinvolgono) tutti i cittadini, e dei quali potevano (e possono) curarsi poco solo i rari “privilegiati”.
Altri diritti, in parte sociali, in parte civili, come il divorzio e l’aborto, che non interessavano necessariamente tutta la popolazione, ma potevano, in determinate circostanze, includere un ampio numero di cittadini, si sono concretizzati nella seconda metà del XX secolo. Vi potremmo aggiungere il diritto, per i disabili, a poter condurre una vita dignitosa o, per i condannati alla reclusione, a un carcere dignitoso e in grado di riabilitare. E, ancora, tra quelli più nuovi, ma di interesse dell’intera cittadinanza, il diritto all’informazione e all’ambiente.
Oggi, nel XXI secolo, assistiamo a una strana situazione. I diritti sociali “classici”, cavalli di battaglia della sinistra storica, stanno regredendo sempre più. Imperversano sfruttamento selvaggio, precarietà e abolizione di varie tutele, tra cui l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ovvero la legge 20 maggio 1970, n. 300, della quale sono stati “padri” i socialisti Giacomo Brodolini e Gino Giugni; quest’ultimo primo simbolo dello Stato di diritto gambizzato (1983) dalle Brigate rosse. E, se alle urne si reca meno della metà degli elettori, non sono in caduta libera anche i diritti politici (vedi Il tramonto della democrazia)? Invece, vi è un’avanzata di “nuovi” diritti. Alcuni “generali”; pensiamo al testamento biologico e all’eutanasia: quasi tutti ci ammaleremo, tutti moriremo. Altri sempre più parcellizzati, “settoriali” e individualistici, “diffusi”, “a macchia di leopardo”, riguardanti una minoranza della società: coppie gay o di fatto, unioni civili, stepchild adoption. Questi diritti rappresentano una questione di laicità e pragmatismo, principi che dovrebbero essere la stella polare di una moderna sinistra riformista.
Il problema si pone quando i diritti di qualcuno invadono quelli degli altri, secondo il vecchio, sano, classico adagio “la mia libertà e i miei diritti finiscono dove cominciano quelli altrui”. Un esempio può essere quello della “maternità surrogata” o “utero in affitto”. Esiste un diritto ad “avere” un figlio? Dove inizia questo presunto diritto e dove quello dei bambini o delle madri naturali (vedi Genitori legittimi o a ogni costo?)? Dove sono finiti decenni di lotte e ideologie femministe, con gli slogan più o meno del tipo “il corpo appartiene solo alle donne”? E non v’è il forte rischio di uno sfruttamento sociale globale?
Un altro esempio. Nessuno discute il primo dei diritti riconosciuti nel Settecento: la libertà religiosa. Ma come si può, in nome di una malintesa tolleranza e apertura religiosa, etnica o culturale, consentire zone franche nelle quali i principi costituzionali e le leggi delle nazioni liberaldemocratiche occidentali non sono rispettati? Melting pot, salad bowl, o nessuno dei due? «Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti. […] La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi». Questo è quanto affermava Karl Popper ne La società aperta e i suoi nemici. Purtroppo, come ha scritto Michel Onfray in Pensare l’islam, il buonismo, il politically correct e «l’odio nei confronti del capitalismo» ha condotto certa sinistra a essere cieca («la sinistra filoislamica si trasforma in liberticida difendendo tutto quello contro cui la sinistra storica ha combattuto»); «ormai, in Francia, è impossibile praticare l’esercizio della ragione senza dover assistere ai diluvi di insulti che accolgono chi vi si cimenta» (vedi Francia e mondo musulmano secondo Michel Onfray).
Il “tema sicurezza”. Non è anche un problema di diritti civili e tutela dei più deboli? Sono le classi povere a lottare con altri disagiati, se non disperati, per un lavoro precario e sottopagato, per un alloggio popolare assegnato dal comune o per un posto in un asilo nido. Sono i poveracci che maggiormente si trovano a scontrarsi con delinquenti presenti certo nei rioni popolari e non in ville, palazzi e quartieri “bene” saldamente blindati!
Insomma, la sinistra ha perso la propria storica stella polare di difesa dei ceti popolari per trasformarsi spesso in una sinistra radical chic lontanissima dalle masse dei bisognosi e dei diseredati (che, infatti, non la votano più). Per di più, omologata al “nuovo che avanza”: al pensiero unico globale/globalizzato, al conformismo, all’omologazione di individui e culture, al neocapitalismo finanziario e selvaggiamente liberista. Alla faccia della solidarietà, del libero pensiero e del pensiero libero! Invece andrebbero recuperate le primigenie radici socialiste, le storiche battaglie per i diritti dei lavoratori e dei ceti svantaggiati, per la libertà, per la dignità umana…
Rino Tripodi
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